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[ figure inesistenti ]
Vincent - Non c’è nulla che sembri più semplice del dipingere contadini, stracciai e operai di ogni sorta, però – non c’è soggetto pittorico più difficile di queste figure d’ogni giorno! Per quanto so non esiste una sola accademia in cui si impari a disegnare e a dipingere uno zappatore, un seminatore, una donna che mette sul fuoco la cuccuma od una cucitrice. In ogni città di una certa importanza invece c’è una accademia con scelta di modelli e modelle di tipo arabo, Luigi XV e in breve, per ogni sorta di FIGURE INESISTENTI.[1]
Dur. 19' 03"
“Consideriamo, a titolo di esempio, un mezzo assai comune: un paio di scarpe da contadino…” – propone Heidegger.
…Peccato che il contadino sia una astrazione generica; nella realtà vi sono braccianti agricoli, coloni, fittavoli, mezzadri etc.
Ci sarebbe da chiedersi che sviluppo avrebbe preso il discorso di Heidegger se invece del paio di scarpe di un contadino generico avesse specificato: “un paio di scarpe da contadino giornaliero”, “un paio di scarpe da colono” o “un paio di scarpe da mezzadro”… Ma questo presuppone che il contadino fosse pensato come appartenente ad una società storicamente e socialmente determinata e non come appartenente alla filosofia; concepito cioè come lavoratore, ad esempio, di una “terra” sulla quale domina la proprietà privata del suolo e non di una terra solamente immaginata, metafisica, metastorica, che esiste solo nel cervello, non certamente sulla terra.

- Ma dimmi: prima di avere una figura di contadino particolare cos’è che intanto fa di un uomo un contadino, un calzolaio o un pittore?
- La divisione sociale del lavoro – mi viene spontaneo rispondere…

Però la divisione sociale del lavoro non è affatto una fissazione personale nel lavoro, ma  cade sotto il dominio dell’indifferenza.
L’indifferenza verso il determinato lavoro corrisponde ad una forma di società in cui gli individui passano con facilità da un lavoro ad un altro e il cui genere determinato del lavoro è per essi fortuito e quindi indifferente. Il lavoro qui è divenuto, non solo nella categoria, ma anche nella realtà il mezzo per creare la ricchezza in generale, e, come determinazione, esso ha cessato di concrescere con gli individui in una dimensione particolare.[2]

Così, quando Heidegger dice che

…E’ proprio della grande arte il porsi dell’artista di fronte all’opera come qualcosa di indifferente. Come una specie di momento passeggero annullatesi nell’oprare stesso in vista della produzione dell’opera” [3]

… non ci dice forse che la forma specifica una di società che produce nella generale indifferenza ha fornito  alla comprensione dell’opera d’arte quanto gli occorreva per “accedere all’opera in sé stessa”? Sottraendola, cioè, “a tutti i rapporti che essa (avvolta nella sua particolare cosalità) ha con ciò che essa stessa non è… per lasciarla riposare in sé stessa”… proprio così come indifferenti agli uomini se ne stanno le “cose-merci” sul mercato, nell’indifferenza di chi, con indifferenza, le ha prodotte.
L’indifferenza, intesa come rammarico (e fonte di melanconia) per la dissoluzione di vecchi rapporti di lavoro (artigianali, corporativi, medievali) si rivela invece fertile per i nuovi rapporti industriali.[4] 

Ma lo sviluppo degli antagonismi di una forma storica di produzione è l'unica via storica possibile al dissolvimento della divisione sociale del lavoro] e alla sua metamorfosi. Ne sutor ultra crepidam! [Il calzolaio non vada oltre la scarpa], questo nec plus ultra della saggezza artigianale è divenuto follia e maledizione dal giorno in cui l'orologiaio Watt ha inventato la macchina a vapore, il barbiere Arkwright il telaio continuo, il garzone orefice Fulton il battello a vapore.[5]

La screditata – e screditante - indifferenza va considerata dunque anche come uno dei fattori operanti che consente di poggiare su una base concreta la prefigurazione di un superamento definitivo di ogni divisione sociale del lavoro nella società futura.[6]

Detto qualcosa di sommario sulla necessità di dare una realtà (determinata) al contadino portatore di scarpe (reali), si potrebbe interrogarci ancora sulla piega che avrebbe preso la querelle calzaturiera se invece di un paio di scarpe Heidegger avesse preso ad esempio un diverso “mezzo assai comune” tra i contadini olandesi e belgi frequentati da Vincent: “Consideriamo, a titolo di esempio, un mezzo assai comune: un telaio casalingo da tessitore. Per descriverlo non occorre affatto averlo sotto gli occhi… A tal fine può bastare una rappresentazione figurativa. Scegliamo, ad esempio, un quadro di van Gogh, che ha ripetutamente dipinto questo mezzo…

In generale la riflessione sulle forme della vita umana, e quindi anche l’analisi scientifica di esse, prende una strada opposta allo svolgimento reale. Comincia post festum e quindi parte dai risultati belli e pronti del processo di svolgimento.[7]

Un telaio di legno a sei licci appare immediatamente come un risultato bell’e pronto di un lavoro svolto precedentemente. Ma cosa sono anche un paio di scarpe se non un risultato bell’e pronto, così come lo è un semplicissimo pezzo di pane?
“Togli da un pezzo di pane tutto il lavoro impiegato in esso, il lavoro del panettiere, del mugnaio, del colono, ecc.; che cosa ne rimarrà? Qualche spiga allo stato selvatico, inadatta a qualsiasi impiego da parte dell’uomo…[8], ma non, evidentemente, all’impiego da parte dell’uomo filosofico!

Ce n’è uno che grida e parla sempre, come ho fatto io durante una quindicina di giorni: crede di sentire voci e parole nell’eco dei corridoi, probabilmente perché il nervo dell’udito è malato o troppo sensibile…[9]

Insomma, signori, cosa ci sarebbe realmente nel mezzo del mezzo della cosa e della mera cosa, dell’uso e della fidabilità heideggeriane delle scarpe? Che genere di verità calpestano, queste scarpe massicce, quando camminano con certe andature?

Si potrà osservare che ci andiamo muovendo in un circolo vizioso… Dobbiamo quindi muoverci nel circolo”[10]… Perciò dovemmo fare un largo giro [11]...
La danza circolare attorno all’oggetto personale come natura morta sembra proprio tentare di afferrarlo per la coda della sua essenza concreta e immediata. Si fanno giri concentrici, che fanno smarrire il sentiero, rimpasticciare le orme che condurrebbero fin al cuore del bosco, dove risiede (forse) la Cosa reale[12].
 “Perché fare un giro tanto lungo per giungere ad una posizione comunemente ammessa? Perché diffidiamo…”[13] – aggiunge il filosofo.
Beh! anch’io inizio a diffidare.
E se in filosofia è legittima “la sensazione”[14], in arte può esserlo “l’impressione” che lungo i sentieri del bosco della modernità al filosofo sia capitata tra le mani l’edizione popolare di una critica dell’economia politica.[15]
Che l’usabilità e la fidatezza - vado rimuginando - non siano altro che i valori di scambio e d’uso della semplice merce confusi e inabissati nell’indifferenza estatica del mercato come forme mistiche (o feticistiche)…
E’ forse colpa mia se ho intravisto abbracciarsi, nel folto del bosco, le due figure del feticismo e dell’indifferenza?[16]

Insomma, come altro dire che tutto questo discorrere sulle scarpe mi è balenato come il mistero (per altro già svelato) della merce, epperò portato a spasso nei sentieri del bosco dove si smarrisce come un Pollicino per uscirsene poi alla radura come un enigma pruriginoso e aureolato, come un mistero radioso e gaudioso?
So bene che in tal modo non apro affatto nuovi sentieri, non essendoci nulla di originale in questo mio calpestare orme ben più profonde lasciate in precedenza da podisti massicci, precisi e soprattutto “autorizzati”.
Questo sospetto frugare, dietro i ciuffi fioriti al sole della metafisica, in cerca del corpo incolore della merce avrebbe dovuto essere da tempo una banalità inservibile oramai all’estetica quanto può essere anacronistica una discussione sul sistema tolemaico all’astronomia… e invece rimane vivida l’impressione che in genere si continua a preferire di aggirarsi per il bosco muovendosi in circolo, sempre alla ricerca dell’origine delle cose piuttosto che delle cose senz’altro.
Può, tuttavia, essere un “errore esiziale”, da parte mia, abbandonarmi a certe impressioni. Per mostrarle, e dimostrarle, occorrerebbe possedere un acuto bulino e la sapienza attenta e meticolosa di un acquafortista. Ma io, avanzando rapidamente e senza metodo nel sottobosco, non so abbozzare altro che dei rapidi schizzi a matita, pasticciando magari con quelle semplici figure che sono alla portata della mia mano pur di raccogliere qualcosa da mettere nella cuccuma sul fuoco.

[1] - Vincent a Theo, Nuenen 14 luglio 1885 (n. 515-418).
[2]  - K. Marx, Lineamenti…, cit.,  pag. 31-32. (Parafrasato in Imprinting i, cit., pag. 32).
[3] - Heidegger, Origine Ni68…, p. 25. Il brano citato è preceduto dal seguente: “L’arte è reale nell’opera d’arte. Perciò cerchiamo in primo luogo la realtà dell’opera. In che consiste? Se pur in modi diversi, le opere d’arte rivelano tutte un carattere di cosa. Il tentativo di concepire il carattere di cosa dell’opera con l’aiuto dei concetti abituali di cosa è andato incontro al fallimento. Non solo perché questi concetti non afferrano la cosità, ma perché, ponendo in questione l’opera sul fondamento del suo substrato cosale, la avvolgono in preconcetti che impediscono l’accesso all’essere opera dell’opera. Non è dunque possibile scoprir nulla circa la cosità dell’opera fin che non si è chiarito il puro stare-in-sé dell’opera”. Il puro stare-in-sé dell’opera corrisponde in qualche modo all’indifferenza delle “cose-merci” nei confronti degli uomini ?(cfr. [2a figura inesistente (sinottica)] , infra  p. 32)
[4] - Se l’indifferenza può spiegare in qualche modo anche la facilità di affermazioni troppo generiche (come ad es. scarpe da contadino), può anche in qualche misura spiegare la diffusa disinvoltura per l’uso di stili storici e moderni nelle arti contemporanee postmoderne (figurative, musicali: citazionismo, parafrasi, campionature, ecc.).
[5] - K. Marx, Il Capitale (Libro I, nel bellissimo e mai letto abbastanza cap. XIII), cit. p. 201.
[6] - “E infine la divisione del lavoro offre anche il primo esempio del fatto che fin tanto che gli uomini si trovano nella società naturale, fin tanto che esiste, quindi, la scissione fra interesse particolare e interesse comune, fin tanto che l’attività, quindi, è divisa non volontariamente ma naturalmente, l’azione propria dell’uomo diventa una potenza a lui estranea, che lo sovrasta, che lo soggioga, invece di essere da lui dominata. Cioè appena il lavoro comincia ad essere diviso ciascuno ha una sfera di attività determinata ed esclusiva che gli viene imposta e dalla quale non può sfuggire: è cacciatore, pescatore, o pastore, o critico critico, e tale deve restare se non vuol perdere i mezzi per vivere; laddove nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera al levare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico.” [K. Marx, L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma 1971, p. 24]
[7] - Marx, Il Capitale, Cit. p. 88.
[8] - Th. Cooper, Lectures on the Elements…, Londra 1831 (Columbia 1826). Citato in K. Marx, Per la critica dell’economia politica, Newton Compton  Italiana, Roma 1972, p. 47.
[9] - V. van Gogh, lettera a Theo da Saint-Remy, 25 maggio 1890.
[10] - Heidegger, Origine Ni68, p. 4
[11] - Ivi, p. 24
[12] - Ivi, p 12. - "La cosa è materia formata… Con la sintesi di materia e forma è finalmente trovato un concetto di cosa ugualmente valido per le cose di natura e per quelle d’uso."
[13] - Ivi, p. 13.
[14] - Ivi, p. 10.
[15] - Cfr. più avanti 2a figura inesistente (sinottica).
[16] - Feticismo e indifferenza possono difatti andare a braccetto: l’indifferenza sopprimendo, con le specificità d’uso di ogni cosa, anche le differenze di genere, e facilmente può trasformare ogni cosa in oggetto di un desiderio indifferentemente di possesso o di sensualità. Così, il generale carattere ornamentale di tanta pittura moderna, non disgiunto dal suo contrario (la superficie), non ha avuto bisogno di motivazioni di genere (femministe o “misogine): gli è bastato respirare l’indifferenza che emanava da ogni rapporto sociale della già matura economia capitalistica della fine dell‘800. (Cfr. Giuliana Altea, Il fantasma del decorativo, ed. Il Saggiatore, Milano 2012) [Tuttavia, anche il feticismo col tempo subisce l’azione dell’indifferenza, e viceversa - una riflessione da svolgere in altro momento…]    






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parte quarta H.D.S. MAROQUINERIES